mercoledì 9 aprile 2008

Turandot: Croce e Delizia dell'Opera italiana (cap. 2)

Puccini tra Verdi e Wagner

Non è possibile parlare dell’opera di Giacomo Puccini se prima non si fissano alcuni punti chiave che passano attraverso le fatiche compositive e ideologiche di altri due grandi maestri immortali: Giuseppe Verdi e Richard Wagner.
Come più volte accennato, molti sono stati i cambiamenti che dai primi anni del Seicento hanno caratterizzato la storia dell’opera fino ai nostri giorni.
Per fare un esempio concreto di come l’arte di comporre sia nel tempo mutato possiamo prendere spunto da altri due grandi compositori che davvero non hanno bisogno di presentazioni: Gioacchino Rossini e Giovanni Paisiello.
L’occasione utile per mettere in evidenza il cambiamento radicale è quella del clamoroso insuccesso della prima rappresentazione de Il barbiere di Siviglia di Rossini. Il compositore non nascose di essersi ispirato alla omonima opera del suo predecessore Paisiello ed è proprio partendo da una base comune che riusciamo a mettere in evidenza le differenze stilistiche e tecniche.
La prima differenza può sembrare meno ovvia, ma alla luce di quelli che saranno i cambiamenti che dovranno ancora venire non può certamente essere trascurata.
Siamo all’inizio dell’opera, nel momento della serenata. Senza scendere troppo nei dettagli, appare evidente di come la situazione sentimentale sia maggiormente sviluppata nell’opera rossiniana, più approfondita e di più ampio respiro, con un numero quasi doppio di versi. L’opera diventa sempre più veicolo di emozioni, non solo mero intrattenimento. L’effetto musicale è più legato alla vicenda e comincia quel processo di unione musica-dramma che verrà portato a compimento da Wagner.
Già dalle prime battute Rossini si differenzia da Paisiello, non è più lo stesso modo di fare opera. Appare evidente a tutti.
Il cambiamento più radicale, quello che probabilmente fu una delle cause dell’insuccesso iniziale, si ha con la rottura di una tradizione della tecnica teatrale. Solitamente il soprano compare in scena in una cavatina, brano allo stesso tempo di presentazione e di omaggio a uno dei ruoli principali. Rossini rompe questo schema e la protagonista femminile irrompe sulla scena con un recitativo, sicuramente meno a effetto, seppur più reale. Il pubblico non gradisce e lo manifesta apertamente. Ma oramai lo schema è saltato e un nuovo modo di comporre si affaccia prepotentemente all’orizzonte.
Molte cose dovranno ancora mutare (recitativi sempre meno ampi, cavatine meno numerose), ma alcuni cambiamenti sono già avvertibili e inarrestabili.
La rottura maggiore avviene appunto tra Verdi e Wagner, l’uno a cavallo tra due periodi, in continuo sviluppo, l’altro già completamente proiettato nel futuro, quasi del tutto staccato dalla tradizione.
Nelle prime opere di Verdi il numero delle arie chiuse è ancora preponderante. La narrazione procede a sbalzi, in una successione slegata, ma coerente, di brani. È già capace di suscitare emozioni forti, ma ancora lontano da quella rivoluzione musicale e teatrale che lo caratterizzerà nelle opere della maturità.
Wagner sviluppa da subito una personalissima struttura operistica. A differenza di molti suoi colleghi si interessa molto alla teoria e alla tecnica che sta dietro alla rappresentazione teatrale e scrive anche alcuni saggi per meglio approfondire le sue idee.
Partendo dalle teorie filosofiche sull’arte sviluppate da Hegel, elabora un complesso sistema di connubio tra testo e musica. Molto spesso il libretto e la partitura procedevano su binari paralleli, quasi narrando sensazioni diverse. Con Wagner la musica è al servizio del dramma e diventa parte di esso. È impossibile scindere le due parti e il dramma si compie quindi nella simbiosi testo-musica, rendendo impossibile un’analisi che precluda una delle due parti. Apparentemente la musica va assumendo un ruolo meno evidente, ma più partecipe.
La scenografia, e la rappresentazione coreografica, assume un ruolo determinante e tutto è curato nei minimi particolari. Il numero dei musicisti aumenta notevolmente e per la prima volta l’orchestra scompare nella fossa, liberando lo spazio visivo dello spettatore, finalmente del tutto immerso nel dramma.
Puccini sviluppa in modo molto personale le innovazioni wagneriane. Naturalmente è molto legato alla tradizione italiana, ma risente di molte influenze che in qualche modo lo attirano senza mai convincerlo del tutto. Risente del verismo, ma in qualche maniera le sue opere si distaccano dal movimento portato avanti da Mascagni, e si dirigono verso sentieri diversi, più indirizzati sul microcosmo della coppia, del quale parleremo, che alla realtà circostante.
È vicino anche all’estetismo dannunziano (e la loro collaborazione fu vicina a realizzarsi), ma l’immobilità estetica dello scrittore mal si combina con la dinamica sentimentale che sviluppa Puccini.
Un compositore fuori dagli schemi e dalle tradizioni, quindi, così particolare da risultare alla fine unico e inimitabile: Puccini, appunto.

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