sabato 14 giugno 2008

Turandot: Croce e Delizia dell'Opera italiana (cap. 8)

La piccola Liù, fulcro dell'opera

Dopo tanto parlare siamo finalmente giunti al personaggio chiave di tutta l’opera, non a caso il più caro allo stesso Giacomo Puccini.
Fino a questo momento abbiamo presentato il fantastico mondo della Pechino pucciniana in modo che apparisse evidente il carattere fiabesco dell’opera, a partire dalle origini teatrali del Gozzi, fino a quello stereotipato dei personaggi, così incentrati su pochi sentimenti, soprattutto amore e odio, ma così incredibilmente focosi e vivi.
Tutto questo caratterizzare in modo netto non avrebbe lo stesso risultato drammatico se a riequilibrare il tutto non intervenisse un personaggio più “umano”, quale è la piccola Liù.
Insieme al padre di Calaf, Timur, e all’imperatore, Altoum, i quali ricoprono un ruolo nettamente secondario, è l’unica che cerca di portare razionalità e buon senso laddove sembra ci sia solo follia rabbiosa.
Se ci fermiamo a riflettere sul personaggio del principe ignoto ci rendiamo subito conto di quanto sia improbabile un amore come il suo, nato all’istante e già pronto a sacrificarsi nella morte. La storia ci coinvolge e la finzione, della quale siamo sempre consapevoli nonostante la completa immersione nell’opera, stempera i nostri dubbi. Il sacrificio al quale si presta Calaf sembra la normale conseguenza del suo ardore.
Altrettanto possiamo dire della principessa di morte, la crudele Turandot, così immersa nel suo ruolo di atroce mietitrice che fa apparire improbabile e remota la possibilità di un lieto fine.
In mezzo a questi eccessi spicca la dolcezza passionale e l’umanità di una schiava, di nascita e d’amore, legata a un gesto semplice e spontaneo: un sorriso.
È Liù che lega i due protagonisti di questa inverosimile storia d’amore, dapprima cercando di salvare la vita del proprio padrone, poi trovando le parole giuste per fronteggiare colei che tutti temevano, in una commovente e lacrimevole spiegazione sul significato dell’amore.
Non è un caso che in passato molti dei più grandi soprano abbiano deciso di interpretare Liù anziché Turandot. Un personaggio di sicuro più coinvolgente e umano che permette anche una vasta possibilità di sfumature e che non può non coinvolgere lo spettatore.
Un personaggio di colore, da primadonna.
Ma a parte la particolarità del ruolo in quanto veicolo d’emozioni, il personaggio di Liù è, insieme a Calaf e in parte ai tre ministri, quello che teatralmente ha la parte più sviluppata, in contrapposizione alla staticità della principessa che in qualche maniera vuole rappresentare anche l’immobilità di sentimenti.
Un personaggio completo che reclama quindi un ruolo di assoluto protagonismo. Senza la piccola Liù non sarebbe esistita l’affascinante atmosfera dell’altrimenti fatiscente Pechino e il lavoro di Puccini non avrebbe trovato quegli sbocchi drammatici che la caratterizzano così intensamente.
Più volte vediamo il principe Calaf esporre il suo lato più umano proprio in contrapposizione al sincero e disinteressato amore della schiava. Nel primo atto quando con tenera passione chiede alla donna di rimanere al fianco del vecchio padre, solo sulla strada dell’esilio, e nel momento drammatico della morte di lei, allorché per la prima volta il principe inveisce contro gli artefici di quelle sofferenze, minacciando atroce vendetta.
La stessa Turandot rimane colpita dal modo in cui la donna affronta le sofferenze imposte dall’amore e per la prima volta emerge il dubbio in una donna che mai aveva saputo guardare dentro di sé. In punto di morte è Liù che assesta il primo colpo alle certezze della principessa, facendola vacillare.
Liù può a tutti gli effetti essere definita il fulcro della Turandot, la forza motrice dell’intera opera.
Possiamo comprendere allora perché lo stesso compositore avesse un debole per questo meraviglioso personaggio. Puccini ha caratterizzato sempre personalità dalle tinte molto forti, passionali e coinvolgenti. La piccola Liù è forse il personaggio che risalta maggiormente, sia per le proprie qualità intrinseche, sia per il mondo nel quale è proiettato, che ne favorisce e amplifica lo splendore.
Liù quindi, nonostante l’aggettivo con il quale la si apostrofa, non è piccola, ma superbamente grande.
Un personaggio immenso.

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