lunedì 25 agosto 2008
Turandot: Croce e Delizia dell'Opera italiana (cap. 9)
L'atmofera delle Turandot
Abbiamo già discusso abbondantemente dei personaggi e dell’ambientazione della Turandot, ma se è vero che la storia avviene in una fiabesca Pechino, è anche vero che si deve respirare una reale atmosfera orientale in modo da poter aprire il nostro animo a una non meglio precisata realtà esotica.
Come abbiamo già avuto modo di anticipare nei primi capitoli Puccini riesce a rielaborare alcune melodie tipiche dell’oriente e a farle parte integrante della sua opera. Ma se a volte è facile individuare queste melodie altre volte dobbiamo accontentarci di assorbire l’esotismo attraverso gli espedienti musicali proposti dal compositore, capace di creare con la musica atmosfere così particolari da sembrare veramente appartenenti a un’altra cultura.
Una volta che Puccini ci ha accompagnato dentro questa particolare realtà esotica rimane difficile alienarsi da tale mondo e avvertirne la lontananza.
Ogni opera di Giacomo Puccini è frutto di una continuità melodica che cattura l’ascoltatore dalla prima nota e lo lascia solo al termine dell’atto, concedendo solo alla fine un breve momento di distacco. Una vibrazione continua capace di ipnotizzare chiunque sia all’ascolto, immergendolo a fondo nel mondo creato per lui.
Le varie melodie si susseguono senza soluzione di continuità in un alternarsi fluido di alti e bassi, ma senza sciogliere, neppure nei momenti di minore intensità strumentale, il legame particolare creato con lo spettatore.
Non ci sono chiuse nette, come già anticipato quando parlavamo di Verdi, e una volta trovato il registro adeguato il maestro riesce tenere in vita l’effetto creato, concedendosi una chiusa a effetto solo nel finale.
Ma la componente musicale da sola non può supportare un intero impianto intento a ricreare un esotismo così ben marcato, non in un’opera lirica, almeno.
È a questo punto che intervengono personaggi chiave che danno spessore sia alla narrazione che colore all’ambientazione. I protagonisti di questo effetto orientale sono perlopiù i tre ministri: Ping, Pang e Pong.
Già abbiamo detto di come possano risultare strani i nomi di questi ultimi e abbiamo sottolineato il fatto che sostituiscono personaggi tipici della cultura italiana quali Tartaglia, Pantalone, Truffaldino e Brighella. Nella trasposizione in opera lirica il loro numero è ridotto a tre e i nomi scelti servono a garantire quel carattere orientale che poteva dare una maggiore resa esotica.
Inoltre, ai tre ministri viene associata la maggior parte delle melodie originali cinesi in modo che l’effetto non sia conseguenza solo del loro nome.
Durante il primo atto appare poco evidente questa caratterizzazione musicale, ma all’apertura del secondo atto ci rendiamo conto che Puccini ci sta un poco alla volta immergendo in quel fantastico mondo immaginario.
I tre ministri descrivono la loro vita con nostalgiche melodie e si abbandonano ai ricordi di un’esistenza più felice. Forse per la prima volta ci rendiamo conto dell’ambientazione orientale. Infatti nel primo atto le emozioni si susseguono a tale ritmo e con tale intensità che l’ascoltatore viene trascinato inconsapevole verso l’esplosivo finale. È solo con il secondo atto, prima che il rito inizi, che abbiamo qualche minuto per allentare la tensione e riflettere.
Nella Turandot ogni personaggio gioca un ruolo ben preciso e nulla è lasciato al caso. In questo modo quelli che nel primo atto sembravano i ministri della morte ora ci appaiono sotto una luce diversa, più morbida e umana. Insieme alla piccola Liù riescono a creare intorno ai due personaggi principali una specie di morbido cuscinetto e ammortizzano i duri contrasti emotivi dei due protagonisti.
Non raggiungono il coinvolgimento né lo spessore emotivo della schiava Liù, ma senza il loro intervento l’atmosfera dell’intera opera risulterebbe più opaca e meno efficace.
In una storia ambientata in una realtà fiabesca è importante che l’ascoltatore possa percepire in modo evidente la lontananza e il distacco dal proprio mondo. Solo così è possibile accettare tutte le incongruenze che inevitabilmente si presentano (come già accennato, per esempio, riguardo al carattere stereotipato di Calaf e la principessa) e allo stesso tempo sentirsi partecipi delle vicende.
Ping, Pang e Pong quindi, oltre a svolgere un importante ruolo di collegamento tra le varie parti, come la stessa Liù, danno un significativo colore esotico all’ambientazione, ricoprendo un ruolo indispensabile per l’intera struttura dell’opera.
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