venerdì 18 aprile 2008

Turandot: Croce e Delizia dell'Opera italiana (Cap. 4)

Genesi della Turandot

Parlare del mondo magico della Turandot significa allo stesso tempo attraversare il globo alla ricerca di atmosfere che si intrecciano le une alle altre in una simbiosi perfetta tra le culture più disparate che hanno influenzato l’autore al momento della composizione.
Ascoltando per la prima volta l’ultima opera di Puccini si rimane subito colpiti da quel particolare intreccio di esotismo e drammaticità reso in modo così particolare da musica e personaggi (il compositore di Lucca era poi molto attento alle sonorità e in molte opere le sue studiate dissonanze da sole creano un grande impatto emotivo).
La solennità dell’atmosfera è subito evidente dalle prime note e dall’intreccio di melodie con il quale l’autore apre il primo atto, ma personaggi importanti e allo stesso tempo dai nomi un po’ bizzarri lasciano con parecchi dubbi circa le intenzioni del compositore.
Credo che chiunque si affacci per la prima volta nel magico mondo della principessa Turandot possa in qualche maniera rimanere colpito dai nomi poco drammatici di alcuni dei personaggi che le orbitano intorno. Ping, Pang e Pong, i cancellieri della principessa, sono nomi che strappano un sorriso all’ascoltatore italiano, creando un’idea comica piuttosto che di solenne drammaticità. L’effetto di sbalordimento però passa presto, non appena la natura dei tre viene chiarita.
Approfondendo la conoscenza dell’opera e scavando fino alle origini dei personaggi ci rendiamo conto che tutta la struttura, sia della trama che dei personaggi, è la normale conseguenza di un lavoro intenso e mirato a creare l’effetto drammatico laddove in origine la tragicità era quasi inesistente.
Dobbiamo fare un passo indietro e tornare alle origini di questa storia affascinante.
La Turandot nasce per la prima volta sotto forma di fiaba teatrale scritta da Carlo Gozzi (nell'immagine). Appare subito evidente quanto e di quale spessore sia stato il lavoro del compositore allorché si apprestava a trasformare in dramma quella che inizialmente era una fiaba. Personaggi in bilico tra l’esotismo drammatico e la fiaba nostrana nascono appunto dall’esigenza di trasformare maschere tipiche della teatralità comica italiana (quelle che tutti noi conosciamo fin da bambini) in strumenti dell’opera tragica.
Anche il personaggio principale subisce un cambiamento non indifferente e assume quei toni cupi e solenni che mai avremmo potuto trovare nell’opera di Carlo Gozzi.
A proporre la realizzazione della fiaba al compositore fu il veneziano Renato Simoni, già giornalista e fortunato scrittore teatrale. L’idea che voleva sviluppare Simoni mirava alla realizzazione di un opera capace di presentare la «inverosimile umanità del fiabesco». Puccini ne fu immediatamente entusiasta e calcolò, la storia gli ha dato ragione, di poter sviluppare a quel modo una forte drammaticità incentrata sul personaggio chiave della principessa.
Alcuni anni prima già un altro compositore, Ferruccio Busoni, aveva musicato con le stesse intenzioni il personaggio della gelida Turandot, ma il risultato non può essere nemmeno lontanamente paragonato a quello ottenuto da Giacomo Puccini. Inoltre, lo stesso Maestro con molta probabilità non conosceva l’opera di Busoni e non poteva né esserne stato influenzato, né averne in alcun modo elaborato i concetti e gli espedienti teatrali.
Un lavoro intenso, quindi, che inizia ancora prima della partitura, laddove si deve lavorare su un testo preesistente che poco ha di drammatico, almeno nel senso inteso da Puccini e dai suoi stretti collaboratori.
Al momento di realizzare il libretto dell’opera si crea di nuovo un terzetto come ai tempi in cui assieme a Puccini collaboravano Illica e Giacosa (con meravigliosi risultati quali Tosca, Bohème e Madama Butterfly). Questa volta, insieme al compositore toscano, ci sono Renato Simoni e Giuseppe Adami, il quale aveva già collaborato varie volte col Maestro (La Rondine, Il Tabarro)
Lo schema collaudato delle precedenti collaborazioni faceva ben sperare.
Puccini iniziò a lavorare febbrilmente al suo capolavoro e già dopo poco tempo riteneva indegno tutto ciò che aveva prodotto precedentemente.
Oramai era del tutto assorbito dal mondo orientale della sua ultima composizione e nulla riusciva a distoglierlo dal proprio lavoro.
Quando iniziò a comporre la Turandot Puccini non era certo più giovane e una malattia minava le sue forze. I collaboratori e l’editore stesso cercarono di dissuaderlo dal lavorare troppo, cercando di suggerire un riposo ristoratore.
Ma ormai la vita e le energie del compositore erano strettamente legate alle vicende dei suoi ultimi personaggi: il principe Calaf, Turandot la gelida e la piccola indimenticabile Liù, il cui destino era così sentito da Puccini.
E il Maestro si spense appunto subito dopo aver descritto la morte della servitrice, la fedele e innamorata piccola Liù. Degli ultimi dieci/quindici minuti dell’opera rimanevano le bozze incomplete.
La prima rappresentazione della Turandot avvenne al Teatro alla Scala di Milano, il 26 aprile 1926, due anni dopo la morte di Giacomo Puccini, grazie anche alla collaborazione del maestro Franco Alfano il quale lavorò sugli appunti di Puccini per portare a compimento l’opera ultima del grande compositore.
Ma non tutti apprezzarono e il direttore Toscanini interruppe l’esecuzione dopo la scena della morte di Liù. In quel momento moriva anche il Maestro e per lui l’opera terminava.

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